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venerdì 15 agosto 2014

Il mistero delle arance rosse



 Tutti conoscono le arance rosse. Ma perché rosse

 A onor del vero, e come piccola premessa, ogni qualvolta ci si pone la domanda “perché” in biologia, si rischia di sollevare polveroni filosofici da far starnutire un Aristotele. In effetti, la risposta è sempre duplice, dipendente dalla prospettiva. Se ci poniamo dal punto di vista della Storia, allora è la prospettiva evoluzionista che ci interessa. La domanda allora diventa: cosa ha consentito che il carattere “colore rosso” venisse conservato? Detto in altri termini, qual è il “vantaggio” di essere rossa, per un’arancia? 

 Sappiamo che il colore rosso è dovuto ad una classe di molecole, gli antociani (assai diffusi in natura). Tuttavia, produrre molecole (qualunque esse siano) non è “gratis”. Si tratta di un processo che “costa” (energia) e quindi la pianta deve trarne un qualche vantaggio*. 

 Ad esempio,  in natura i colori (spesso, non sempre) hanno un significato per le altre specie con cui la pianta interagisce. E il rosso è un colore vistoso, soprattutto rispetto al diffusissimo verde, suo complementare, il che spiega (almeno in parte) perché frutti e bacche presentano un colore rossastro, così da poter essere ben visti da chi li utilizzerà (e in questo modo diffonderne i semi).
 Nel caso delle arance rosse, però, siamo probabilmente sulla strada sbagliata. In fondo il frutto dell’arancio è già vistoso di per sé e il colore rosso riguarda soprattutto (ma non unicamente) la polpa, la parte interna al frutto. A ben guardare, dovremmo aggiungere il fatto che, siccome stiamo parlando di una specie coltivata, non entra in gioco solo la selezione naturale ma anche quella cosiddetta “artificiale”, la selezione esercitata dall'uomo. 

 Capita spesso che le specie coltivate sviluppino per mutazione un carattere che sarebbe inutile o perfino dannoso in “natura” (e quindi, “naturalmente” destinato ad estinguersi assieme alle piante portatrici del carattere), ma che rappresenta un vantaggio per noi umani. Quindi, proprio quelle piante che sarebbero “naturalmente” sfortunate e destinate all'estinzione vengono salvaguardate con cura e coltivate dagli uomini a scapito delle altre. A lungo andare, la specie può diventare così “dipendente” dall'uomo da essere pressoché incapace di sopravvivere in “natura”, lasciata a sé stessa (è il caso del mais, ad esempio). 

 Tornando al mistero delle arance rosse, il primo passo per risolvere un mistero consiste nel cercare di limitare il fenomeno che si vuole osservare. In pratica, tutte le arance sono rosse? Se no, dove si trovano? E cos'hanno di speciale? Una “spedizione” al supermercato ci informerà che le “arance rosse” provengono (quasi) unicamente dalla Sicilia. Infatti, le varietà commercializzate sotto il “segno IGP” sono tre: Tarocco, Moro e Sanguinello.

 Queste arance vengono prodotte nella zona intorno all'Etna. E qui ci avviciniamo alla soluzione del mistero. In effetti, l’areale di coltivazione è soggetto a forti escursioni termiche notte/giorno. Più l’escursione termica è forte, più queste arance sono pigmentate (producono antociani). Perché? In primo luogo, è capitato che alcune varietà di arance “normali” sviluppassero una mutazione (l'origine di queste arance è abbastanza dibattuta, così come la relazione tra le diverse varietà. Si parla di una mutazione avvenuta tra Otto e Novecento nel caso della varietà Tarocco, ad esempio). 

 Ora, questa mutazione ha procurato un vantaggio alle piante mutate. E qui viene la parte interessante. In effetti, per avere arance veramente rosse, bisogna che le piante siano soggette a forte escursione termica. Questo è proprio quello che accade (tra il giorno e la notte), alle pendici dell'Etna. Questo spiega perché la coltivazione di queste arance è localizzata proprio in quella zona. 

 Ricapitolando, se volete produrre arance rosse, vi servono:

  • le varietà mutate (potenzialmente in grado di produrre arance rosse) – quella che possiamo chiamare la genetica
  • un clima adatto a produrre effettivamente il colore rosso (forti escursioni termiche notte giorno) – quello che chiameremo l’ambiente 


 Aprendo un libro di genetica si scopre in effetti che il fenotipo (quello che “si vede”, il carattere effettivamente espresso) è dato dalla “formula”: fenotipo = genetica x ambiente.
In effetti, gli antociani svolgono un ruolo protettivo (si tratta, tra l’altro, di sostanze antiossidanti) anche nelle piante. L’arancio che può produrli (mutato) lo fa per un motivo preciso: proteggersi contro lo “stress” provocato dalla forte escursione termica!!

 Gli antociani hanno un ruolo protettivo anche per noi esseri umani (motivo per cui è consigliato mangiare frutta colorata, specie se di colore rossastro – arance rosse, mirtilli, ecc. sono ricchi di antociani -). Ad esempio, topi mutati che hanno tendenza a sviluppare tumori, vivono più a lungo se nutriti con antociani (in questo studio, i topi venivano nutriti con un pomodoro in cui i ricercatori erano riusciti a far produrre antociani, grazie al trasferimento genico). Per inciso, ritroviamo gli antociani anche come additivi alimentari, sotto la sigla E163.

 Ma ritorniamo alle arance rosse. Il mistero è quindi risolto? Solo in parte. Sappiamo che c’è stata una mutazione, sappiamo in quale ambiente vengono prodotti gli antociani, sappiamo anche il perché vengono prodotti… ma non sappiamo niente della mutazione!

 Ebbene, il mistero è stato risolto da questo articolo.

 Quello che è accaduto è che un retrotrasposone ha provocato la mutazione “arance rosse”. Un retrotrasposone possiamo definirlo come un antico virus “parassita” del genoma. Ce ne sono tanti e di tanti tipi, anche nel nostro, di genoma. Ogni tanto si spostano – in gergo si dice che “saltano” – e producono una copia di se stessi inserendosi in un'altra parte del genoma.
 Nel caso delle arance rosse, il nostro retrotrasposone si è inserito in un punto tale per cui l’espressione di un gene particolare (chiamato Ruby), gene che controlla la produzione di antociani, viene attivata nel frutto quando fa freddo (un po’ complicato, vero?).

 In breve, quando bevete un succo di arancia rossa, pensate a quanti (e complicati) eventi si son dovuti verificare per poter arrivare fin lì, nel vostro bicchiere!


 *Piccola parentesi di biologia evoluzionistica.
Purtroppo, quando si traducono le questioni dell’evoluzione in linguaggio corrente, c’è sempre il rischio di lasciar trasparire una sorta di finalità o volontà intrinseca (che invece non è presente). Quindi, mi esprimo meglio: quel “deve trarne qualche vantaggio” significa più precisamente “se gli individui di quella popolazione hanno mantenuto quel tratto caratteristico, allora vuol dire che il tratto deve essere associato con un vantaggio adattativo (o, almeno, essere neutro. Anche se è difficile che un processo che costa energia possa essere completamente “neutrale” dal punto di vista della selezione naturale). Naturalmente, un singolo individuo può sviluppare un tratto che è svantaggioso. In questo caso, però, è molto probabile che la pianta ne trarrà uno svantaggio, quindi probabilmente la pianta non trasmetterà il tratto alla discendenza e/o le piante discendenti saranno svantaggiate a loro volta. Quindi il tratto svantaggioso avrà tendenza a scomparire sul lungo periodo.
Per continuare la storia, il bello della biologia è che ci sono eccezioni, ed anche eccezioni delle eccezioni. Come mostrato, tra gli altri, da Gould, può capitare che, a causa d’improvvisi cambiamenti nell’ambiente, un tratto svantaggioso si trasformi in un tratto vantaggioso fornendo così un vantaggio a quella parte della popolazione che lo possedeva (e che, inizialmente, era svantaggiata). Un esempio per noi esseri umani è l’anemia falciforme. Si tratta di una malattia genetica (-dovuta ad una mutazione in un gene – essendo una malattia, si tratta di qualcosa di “svantaggioso” in condizioni “normali”) che colpisce i globuli rossi. Tuttavia, questa mutazione può portare un vantaggio agli individui affetti nelle zone colpite da malaria. Per più info, ecco il link all’articolo originale.

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