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martedì 18 marzo 2014

Fillotassi, questa sconosciuta *

C'è una geometria nascosta nella natura. I cristalli seguono regolarità geometriche, formando strutture a volte strabilianti. Tali regolarità non sono esclusive degli oggetti inanimati, ma sono presenti anche negli esseri viventi. Il regno delle piante non fa eccezione e, anzi, è forse qui che le geometrie nascoste diventano più facilmente riconoscibili, almeno per l'occhio attento. Cosa accomuna, ad esempio, una margherita a uno strobilo (o pigna [Fig. 1])?

Fig. 1
Uno strobilo (a sinistra), e una margherita (a destra), sono accomunati dal fatto di avere elementi a spirale (spirale rossa e spirale azzurra)

In primo luogo, lo strobilo e il fiore della margherita sono strutture complesse. Lo strobilo è formato da strutture legnose più piccole (brattee), dove si trovano i semi. Il cosiddetto “fiore” della margherita è in realtà composto da numerosi fiori (in senso botanico). I “petali” bianchi sono infatti singoli fiori, così come i cilindri gialli al centro del capolino (fiori tubulosi). Guardando attentamente, salta all'occhio come le brattee dello strobilo e i fiori tubulosi seguano in realtà la medesima geometria: una spirale. Questa disposizione la si ritrova in numerose piante, in particolare nel meristema apicale, da cui vengono originati gli organi fogliari. Proprio la disposizione delle foglie prende il nome di fillotassi (dal greco phyllon – foglia, e taxis – disposizione). Anche la pianta più studiata dai biologi vegetali, l’Arabidopsis thaliana (Fig. 2), presenta una fillotassi a spirale.

Fig. 2
Giovane pianta di Arabidopsis thaliana, la preferita dai “plantologi”!

La fillotassi a spirale non è l'unica. Ne esistono numerose altre (le foglie possono trovarsi su di un solo lato dello stelo – fillotassi monostica -, oppure le foglie sono disposte su due lati opposti – fillotassi distica -, ecc.). Tuttavia, i motivi a spirale hanno da sempre affascinato l'uomo, e la fillotassi spiralata è quindi stata tra le prime ad attirare l'attenzione di filosofi naturali e … matematici. Ad esempio, si scoprì che l'angolo tra due foglie successive è sempre vicino a 137°. Questo non è un numero qualunque. È infatti in relazione con una nota serie numerica, la serie di Fibonacci (matematico pisano del '200), dove ogni elemento della serie è dato dalla somma dei due che lo precedono (la serie di Fibonacci è del tipo: 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, … . 2 è infatti dato da 1 + 1, 3 da 2 + 1, 5 da 3 + 2, ecc.). Nel tentativo di descrivere al meglio la fillotassi spiralata, e di decifrarne il mistero, è stato perfino scoperto un “Teorema Fondamentale della Fillotassi” (1). Nonostante questi progressi, la domanda di base “come fa una pianta a produrre foglie sempre con un angolo di 137°?” non aveva ancora trovato una risposta soddisfacente. Alcuni fisici decisero di raccogliere la sfida.
Negli anni ’90, i fisici Douady e Couder realizzarono un ingegnoso esperimento: gocce di materiale ferromagnetico venivano fatte cadere dall'alto su di un piatto contenente un olio speciale, in modo che, una volta cadute, le gocce potessero spostarsi lungo il piatto praticamente senza attrito. Il tutto era immerso in un campo magnetico verticale, in grado di agire sulle gocce del materiale ferromagnetico (Fig. 3, ridisegnato da [2]). In questo apparato c'erano due aspetti essenziali:
1- le gocce magnetizzate tendono a respingersi tra loro;
2- il campo magnetico non è omogeneo.
Il campo è infatti minimo al centro del piatto e massimo in periferia, così che le gocce cadute al centro tendono a spostarsi verso il bordo esterno del piatto, ma mano che altre ne cadono.

Fig. 3 
Schema dello strumento impiegato da Douady e Couder. Un campo magnetico verticale H è generato grazie alle correnti I1 e I2 nelle bobine inferiore e superiore. Il campo è d’intensità minima al centro e massima in periferia. Al centro, un meccanismo rilascia gocce di materiale ferromagnetico. Queste si magnetizzano entrando nel campo. Le gocce cadono su di un piatto contenente olio dove, grazie al fatto di tendere a respingersi tra loro e ad essere attratte verso l’esterno, si dispongono come farebbero i primordi fogliari nel caso della fillotassi spiralata. Ridisegnato da (2)

Come si può osservare dal video originale dell’esperimento, le gocce vanno a disporsi nel piatto proprio come farebbero i primordi fogliari di un meristema apicale!
Naturalmente, nella realtà, né i primordi delle foglie sono costituiti da materiale ferromagnetico, né i meristemi vegetali sono immersi in un campo (magnetico). Se l’analogia tra un apparato fisico ed un meristema vegetale funziona davvero, allora deve esserci sotto qualcosa di meno evidente e di più profondo ad accomunare i due sistemi.
Nonostante ciò, l’esperimento di Douady e Couder aveva un merito notevole: mostrava chiaramente come anche le geometrie tipiche degli esseri viventi non fossero un’esclusiva di questi ultimi. Inoltre, l'esperimento mostrava che le leggi della fisica non possono essere del tutto ignorate quando si cominciano a studiare i fenomeni legati alla forma.
Occorre dire, però, che già da tempo (più o meno verso gli anni ’50), i biologi vegetali avevano cominciato a studiare quelle che possono essere definite le “regole del gioco” di un meristema apicale. Una teoria, in particolare, aveva riscosso successo nella comunità scientifica: la teoria dei campi inibitori.
In pratica, secondo questa teoria, un primordio fogliare crea attorno a sé un campo (per esempio, potrebbe farlo grazie alla produzione di uno specifico segnale) in grado d’impedire la creazione di un nuovo primordio. Di conseguenza, un nuovo primordio può formarsi soltanto nel punto lasciato libero dai campi generati dai diversi primordi (Fig. 4). Seguendo queste "regole del gioco", un po’ come se il meristema fosse una scacchiera ed i primordi le pedine, è possibile ottenere una fillotassi spiralata. Questo è molto interessante. Si tratta infatti delle stesse “regole del gioco” seguite dalle gocce magnetizzate nell'esperimento di Douady e Couder. Ma, se qui era in azione un campo magnetico, che cosa poteva essere all'origine del campo inibitore nella pianta?

Fig. 4 
La teoria dei campi inibitori. Attorno ad ogni primordio (in verde scuro), così come al centro del meristema, è presente un campo inibitore (verde chiaro) dovuto, ad esempio, ad un segnale chimico originato dal primordio. In questo modo, un nuovo primordio può nascere solo nel punto lasciato libero dall'interazione dei vari campi


È noto che le piante dispongono di diverse sostanze chimiche in grado di trasportare un segnale, i cosiddetti ormoni. Si trovò che un ormone in particolare era associato con la formazione dei primordi. Questo ormone, da tempo noto ai fisiologi vegetali, è l’auxina. Lo studio dell'auxina può esser fatto risalire allo stesso Darwin, anche se la sua struttura chimica venne svelata soltanto all'inizio degli anni ’30. Oggi sappiamo che l’auxina svolge un ruolo chiave nelle piante, essendo coinvolta in numerosi processi di crescita e sviluppo, da sola o assieme ad altri ormoni. Tra questi processi c’è anche l'origine dei primordi (che determina, in definitiva, la fillotassi). Si scoprì quindi che la concentrazione dell'ormone auxina presenta un massimo in corrispondenza dei primordi, mentre la concentrazione scende drasticamente nella zona tutta intorno al primordio.
Ecco allora che la teoria del "campo inibitore" risulta sì valida, ma rovesciata! Più che dalla presenza d’un inibitore (Fig. 4), il "campo" è dato dall'assenza dell’attivatore (Fig. 5), cioè proprio l'auxina.

Fig. 5
La teoria dei campi inibitori rovesciata. Attorno ad ogni primordio è presente un campo inibitore (bianco), dovuto al fatto che manca il segnale attivatore (azzurro) 


Ma come spiegare la distribuzione dell'auxina? L'auxina si muove da cellula a cellula, così che nei tessuti vegetali sono presenti dei veri e propri "flussi di auxina". In alcuni punti si accumula, in altri scorre via, proprio come il corso di un fiume. Le cellule delle piante, inoltre, dispongono di veri e propri "canali" per l’auxina. Si tratta di proteine particolari che consentono all'auxina di entrare nella cellula, oppure di uscirne.
Le proteine che consentono all'auxina di uscire (chiamate PIN), sono distribuite polarmente (cioè, sono disposte su di un solo lato della cellula). Se quindi immaginiamo di mettere in fila diverse cellule orientate nel modo giusto, l'auxina sarà costretta a seguire un flusso preciso. Ecco allora che i picchi di auxina nei primordi (e i campi inibitori dovuti alla bassa concentrazione di auxina attorno ad essi), si possono interpretare con la diversa orientazione delle proteine PIN nelle varie cellule.
Come si è visto, anche in biologia, partendo da ipotesi astratte e piuttosto astruse (le “regole del gioco” che regolano la fillotassi), si arriva poi ad mettere in luce i meccanismi sottostanti (i “campi inibitori” ed il ruolo dell’auxina). Ma il mistero della fillotassi non è stato ancora svelato del tutto. Ci sono ancora diverse domande che attendono una risposta. Ad esempio: come fanno le proteine PIN a sapere dove orientarsi? L'auxina è davvero l'unico segnale a regolare la fillotassi? O ce ne sono anche altri? E le forze fisiche possono giocare un ruolo anche nel meristema (così come facevano nell'esperimento di Douady e Couder)? E se sì, quale? La ricerca prosegue …


Riferimenti:
1- Adler, I.; Barabe, D.; Jean, R.V. A history of the study of phyllotaxis. In Annals of Botany, 80:231-244 (1997).
2- Douady, S.; Couder, Y. Phyllotaxis as a dynamical self-organizing process . In Journal of Theoretical Biology, 178:255-274 (1996).

Per approfondire:

Traas J. Phyllotaxis. In Development, 140:249-253 (2013). 

* L'approfondimento riproposto (con minime modifiche) in questo blog è già apparso su Scienze-Naturali.it il 2 maggio 2013

domenica 9 marzo 2014

Le piante prendono decisioni (complesse)?




Non capita spesso che news riguardanti la ricerca di base raggiungano la stampa quotidiana (a meno che non si tratti di “tunnel per neutrini”…), specie se tali news riguardano il mondo vegetale. Bene, questa settimana mi è capitato non solo di leggere sui giornali, ma perfino di ascoltare alla radio, la scoperta che il crespino (Berberis vulgaris) sarebbe in grado di prendere decisioni complesse. Ovviamente, era necessario investigare: sono andato a cercare l’articolo (l’articolo scientifico, non quello sui quotidiani), per dargli un’occhiata. Comincio quindi con una premessa: si tratta di una ricerca _seria_, nel senso che è stata pubblicata su di una rivista peer reviewed (The American Naturalist), e più precisamente si tratta di una ricerca di ecologia. Pertanto, i dati sono probabilmente corretti ma (e?), come si vedrà, proprio l’interpretazione dei dati è il nucleo della questione.

I fatti_ Il crespino presenta frutti con uno oppure due semi. I frutti possono venire attaccati da un parassita, un moscerino della frutta, che vi depone le uova. La larva che si sviluppa (normalmente, una larva per frutto) si nutre dei semi (per potersi sviluppare bene, una larva mangia un seme e tre quarti. Questo non impedisce che le larve si sviluppino anche in frutti con un seme solo). Bene. La pianta però può abortire il seme in cui la larva si sta nutrendo, uccidendola. Se il frutto ha 2 semi, questo significa che l’altro seme è salvo (e la pianta che fa ciò è avvantaggiata, perché avrà più probabilità di avere una discendenza). 

I dati_ In pratica, i ricercatori hanno raccolto i frutti del crespino. Poi hanno determinato se il moscerino aveva “punto” il frutto per deporvi le uova. Quindi hanno contato il numero di semi vivi, mangiati, oppure abortiti. Alla fine, è risultato che nei frutti infestati, se c’erano 2 semi, la pianta abortiva il seme infestato nel 75 % dei casi. Se invece il frutto infestato aveva un solo seme, la pianta abortiva i semi soltanto nel 5 % dei casi.

L’interpretazione_ Sulla base di ciò, l’interpretazione data è che la pianta dispone di un comportamento – definito come la risposta di un organismo a segnali interni ed esterni  - complesso (“decision-making”, capacità di prendere decisioni), in quanto la pianta disporrebbe di:
1-      Una memoria strutturale (il secondo seme intatto);
2-      Un ragionamento semplice (integrazione di dati esterni ed interni);
3-      Un comportamento condizionale (abortire, o meno, il seme);
4-      La capacità di anticipazione (sic!) di un rischio futuro (la predazione dell’altro seme).

Occorre in primo luogo notare che esistono numerose definizioni di “comportamento”, non sempre concordanti tra loro. Si veda questa pagina per farsene un’idea…
Ora, il fatto che la pianta uccida un seme (infettato) per salvare l’altro, è senz'altro una risposta adattativa. Tuttavia, definirlo “decision-making” con capacità di anticipazione di un rischio futuro potrebbe lasciare perplessi…
Credo quindi non sia un caso se gli autori si soffermano ad illustrare (e precisare) tutti e quattro i concetti di cui sopra. Senza tale "apparato interpretativo", non sarebbe probabilmente possibile arrivare ad affermare che il crespino è in grado di “prendere una decisione complessa”. D'altronde, che cosa vuol dire “prendere una decisione”? E “anticipare il futuro”? Servirebbe il parere di un informatico, ma se proviamo ad applicare tali concetti ad una macchina, un computer ad esempio, la risposta non sembra per niente scontata.

Per tornare ai vegetali, e al caso del crespino in particolare, immaginiamo che la selezione naturale abbia selezionato solo le piante che, a seguito di una “puntura” del moscerino sui frutti, riuscivano a portare a termine un, chiamiamolo algoritmo, di questo tipo: 
hai un solo seme? Se sì, allora porta a maturazione il frutto. Altrimenti, uccidi il seme infettato.
In fondo, i frutti che hanno abortito l’altro seme sono diventati frutti con un solo seme, no? 
 In questo caso, servirebbe ancora parlare di “comportamento complesso”? Se proviamo a guardare la risposta della pianta ex-post (cioè, guardando alla specie nel suo insieme dopo l'azione della selezione naturale, invece che alla pianta presa singolarmente), poiché una risposta del genere era vantaggiosa, solo le piante che riuscivano ad attuarla sono state selezionate. A questo punto, servirebbe ancora parlare di “capacità di anticipazione di un rischio futuro”?

Un topo in un labirinto deve effettuare scelte sequenziali differenti ad ogni nuovo incrocio (andare a destra, sinistra, proseguire, tornare indietro…). Il che richiede un sistema complesso d’elaborazione delle informazioni (il cervello). E, presumibilmente, anche una certa capacità di proiettare gli effetti delle proprie scelte nel futuro. Ma, nel caso del crespino, si direbbe che la “scelta” della pianta possa fondamentalmente ridursi a questa semplice operazione: uccidere il seme infettato, solo se ce n’è un altro accanto (e lasciare che il frutto maturi). Se le cose stanno cosi, é necessario introdurre concetti quali "memoria strutturale" oppure "capacità di anticipazione"? Una delle massime alla base della scienza moderna, il rasoio di Occam, afferma: entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem. Occam voleva dire che, nel formulare un'ipotesi o una teoria scientifica, é bene non aggiungere più elementi del necessario.

Uno dei rischi nell'applicare concetti "animali" ai vegetali è quello di scivolare inesorabilmente nell'antropocentrismo. Questo non toglie che vi siano somiglianze, quando non veri e propri meccanismi in comune, tra i due regni. Bisogna senz'altro rimarcare che i vegetali sono in grado di compiere operazioni meravigliosamente complesse. Ma è proprio necessario volerli rapportare a noi “esseri superiori” (nell'ordine, animali e poi esseri umani)? Forse inquadrare meglio le piante nel loro regno potrebbe perfino aiutare a migliorare la coscienza ambientale di noi “esseri pensanti”.

Ad esempio, sappiamo che meccanismi simili a quelli del Berberis vulgaris non sono estranei alle altre specie vegetali. Per dire, è ben nota la risposta ipersensibile (chiamata risposta HR) nelle radici della vite infettata dalla peronospora, così da eliminare il parassita. Oppure, ancora più complesso, il meccanismo per cui alcune specie, se attaccate da un bruco, emettono un richiamo chimico per il parassita del bruco (potremmo immaginarlo come un cartello con su scritto: “Ehi! La tua preda è qui!"), così da potersene disfare. Si tratta di “decision-making”? La pianta ha “deciso” di richiamare il parassita del bruco? Probabilmente, molto (tutto?) si gioca sull'interpretazione dei fatti sperimentali.  

Quello che posso dirvi è che in una parte della comunità scientifica, di quella che un tempo si chiamava fisiologia vegetale, è in corso un acceso dibattito per applicare ai vegetali non solo i medesimi concetti (ad esempio, quello di comportamento), ma perfino alcuni protocolli sperimentali, generalmente usati in ambito animale. Come è possibile immaginare, dall'esterno si ha un po’ l’impressione che “volino dizionari”. Nel senso che, essendo l’interpretazione dei fatti indissolubilmente legata alle parole usate per descriverli, le parole e i termini impiegati diventano di primaria importanza. Ecco allora che è stato perfino coniato il termine neurobiologia vegetale... ma di questo parlerò in un altro post. Di certo, l’articolo sul Berberis vulgaris ha tutta l’aria di volersi inserire nella discussione. L'importante, è che la discussione rimanga nell'ambito del metodo scientifico. La fecondità, o meno, di nuove idee (anche solo per ampliare i confini di una disciplina), é valutabile soltanto a posteriori, purtroppo.

domenica 2 marzo 2014

Back to Amborella




Avevo promesso che sarei tornato su Amborella trichopoda, la “pianta primordiale”. Ecco quindi una foto (presa di recente) dei fiori maschili di Amborella (purtroppo, per quelli femminili, sarà necessario aspettare ancora un po’). Quello che si vede sono gli stami, o meglio, le antere triangolari (che portano il polline) sorrette da filamenti molto corti che nella foto, di fatto, non si vedono. Le dimensioni dei fiori sono davvero millimetriche! Inoltre, gli stami sono organizzati in spirale, il che è molto interessante perché le piante a fiore cosiddette “moderne” (questo concetto della “modernità” o meno di una specie rispetto a un’altra, così come l’idea dei “fossili viventi” sarà senz’altro l’oggetto di un altro post), presentano piuttosto gli organi sistemati per verticilli, cioè per cerchi concentrici, in cui è possibile individuare i vari organi (che sono comunemente quattro, dall’esterno verso l’interno: sepali, petali, stami e carpelli, nel fiore completo). Altre piante a fiore considerate “primordiali” sono le magnolie (anch’esse con gli organi fiorali disposti a spirale).



Fiori maschili e bottone fiorale di Amborella 

Zoom del fiore sulla destra, si notano le antere triangolari organizzate a spirale

Una campagna per il Golden Rice



Il Golden Rice (“Riso Dorato”) è una varietà di riso, ottenuta tramite le moderne tecniche di biologia molecolare, in seguito migliorata anche grazie agli incroci tradizionali, purtroppo osteggiata da diversi movimenti (molti dei quali si definiscono come “ambientalisti”). Nel Golden Rice, i chicchi sono dorati perché contengono beta-carotene (che, appunto, si trova anche nelle carote…vedi il post sul mais e i trasposoni), forse meglio noto come provitamina A (provitamina perché diventa vitamina solo dopo che è stato assunto dall’organismo). Poiché, nel mondo, il riso è alla base dell’alimentazione di almeno 400 milioni di poveri (che non possono permettersi di assumere le vitamine e/o di avere quotidianamente una dieta ricca e variegata), ecco che coltivare riso contenente questa provitamina aiuterebbe a ridurre tutti i problemi connessi con la sua mancanza (per citarne alcuni: cecità, debolezza del sistema immunitario, problemi al livello del sistema scheletrico e della produzione di globuli rossi - vedi link in fondo per più info*-). Considerando poi le morti in età infantile dovute a malnutrizione (ogni anno muoiono 12 milioni di bambini per questo motivo), tutto ciò dovrebbe essere uno stimolo ad adottare ogni possibile soluzione (in quanto è chiaro che la soluzione miracolosa non esiste – il fatto che problemi complessi richiedono soluzioni altrettanto complesse è una regola generale che raramente risulta sbagliata -) , specie quando tale soluzione è messa a disposizione da un’organizzazione i cui intenti sono dichiaratamente non-profit (http://www.goldenrice.org/Content3-Why/why3_FAQ.php#Management). Inoltre, date le qualità del Golden Rice, non sarebbe male se venisse accettato anche dai paesi sviluppati (in questa pagina, a scopo chiaramente esemplificativo - credo infatti che si potrebbe sviluppare di più questo punto, anche per mostrare che il riso Golden Rice è, appunto, riso, e nient’altro - vengono illustrate alcune ricette a base di Golden Rice, con relative foto).
Il sito della campagna “Golden Rice Now” si trova invece a questa pagina.

*E qui più informazioni sugli effetti della mancanza di vitamina A.

LIBRI, LIBRI, LIBRI....