Fig. 1
Uno strobilo (a sinistra), e una margherita (a destra), sono accomunati dal
fatto di avere elementi a spirale (spirale rossa e spirale azzurra)
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Fig. 2
Giovane pianta di Arabidopsis
thaliana, la preferita dai “plantologi”!
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Negli anni ’90, i fisici Douady e Couder realizzarono un ingegnoso esperimento: gocce di materiale ferromagnetico venivano fatte cadere dall'alto su di un piatto contenente un olio speciale, in modo che, una volta cadute, le gocce potessero spostarsi lungo il piatto praticamente senza attrito. Il tutto era immerso in un campo magnetico verticale, in grado di agire sulle gocce del materiale ferromagnetico (Fig. 3, ridisegnato da [2]). In questo apparato c'erano due aspetti essenziali:
1- le gocce magnetizzate tendono a respingersi tra loro;
2- il campo magnetico non è omogeneo.
Il campo è infatti minimo al centro del piatto e massimo in periferia, così che le gocce cadute al centro tendono a spostarsi verso il bordo esterno del piatto, ma mano che altre ne cadono.
video originale dell’esperimento, le gocce vanno a disporsi nel piatto proprio come farebbero i primordi fogliari di un meristema apicale!
Naturalmente, nella realtà, né i primordi delle foglie sono costituiti da materiale ferromagnetico, né i meristemi vegetali sono immersi in un campo (magnetico). Se l’analogia tra un apparato fisico ed un meristema vegetale funziona davvero, allora deve esserci sotto qualcosa di meno evidente e di più profondo ad accomunare i due sistemi.
Nonostante ciò, l’esperimento di Douady e Couder aveva un merito notevole: mostrava chiaramente come anche le geometrie tipiche degli esseri viventi non fossero un’esclusiva di questi ultimi. Inoltre, l'esperimento mostrava che le leggi della fisica non possono essere del tutto ignorate quando si cominciano a studiare i fenomeni legati alla forma.
Occorre dire, però, che già da tempo (più o meno verso gli anni ’50), i biologi vegetali avevano cominciato a studiare quelle che possono essere definite le “regole del gioco” di un meristema apicale. Una teoria, in particolare, aveva riscosso successo nella comunità scientifica: la teoria dei campi inibitori.
In pratica, secondo questa teoria, un primordio fogliare crea attorno a sé un campo (per esempio, potrebbe farlo grazie alla produzione di uno specifico segnale) in grado d’impedire la creazione di un nuovo primordio. Di conseguenza, un nuovo primordio può formarsi soltanto nel punto lasciato libero dai campi generati dai diversi primordi (Fig. 4). Seguendo queste "regole del gioco", un po’ come se il meristema fosse una scacchiera ed i primordi le pedine, è possibile ottenere una fillotassi spiralata. Questo è molto interessante. Si tratta infatti delle stesse “regole del gioco” seguite dalle gocce magnetizzate nell'esperimento di Douady e Couder. Ma, se qui era in azione un campo magnetico, che cosa poteva essere all'origine del campo inibitore nella pianta?
È noto che le piante dispongono di diverse sostanze chimiche in grado di trasportare un segnale, i cosiddetti ormoni. Si trovò che un ormone in particolare era associato con la formazione dei primordi. Questo ormone, da tempo noto ai fisiologi vegetali, è l’auxina. Lo studio dell'auxina può esser fatto risalire allo stesso Darwin, anche se la sua struttura chimica venne svelata soltanto all'inizio degli anni ’30. Oggi sappiamo che l’auxina svolge un ruolo chiave nelle piante, essendo coinvolta in numerosi processi di crescita e sviluppo, da sola o assieme ad altri ormoni. Tra questi processi c’è anche l'origine dei primordi (che determina, in definitiva, la fillotassi). Si scoprì quindi che la concentrazione dell'ormone auxina presenta un massimo in corrispondenza dei primordi, mentre la concentrazione scende drasticamente nella zona tutta intorno al primordio.
Ecco allora che la teoria del "campo inibitore" risulta sì valida, ma rovesciata! Più che dalla presenza d’un inibitore (Fig. 4), il "campo" è dato dall'assenza dell’attivatore (Fig. 5), cioè proprio l'auxina.
Fig. 5
La teoria dei campi inibitori
rovesciata. Attorno ad ogni primordio è presente un campo inibitore (bianco),
dovuto al fatto che manca il segnale attivatore (azzurro)
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Ma come spiegare la distribuzione dell'auxina? L'auxina si muove da cellula a cellula, così che nei tessuti vegetali sono presenti dei veri e propri "flussi di auxina". In alcuni punti si accumula, in altri scorre via, proprio come il corso di un fiume. Le cellule delle piante, inoltre, dispongono di veri e propri "canali" per l’auxina. Si tratta di proteine particolari che consentono all'auxina di entrare nella cellula, oppure di uscirne.
Le proteine che consentono all'auxina di uscire (chiamate PIN), sono distribuite polarmente (cioè, sono disposte su di un solo lato della cellula). Se quindi immaginiamo di mettere in fila diverse cellule orientate nel modo giusto, l'auxina sarà costretta a seguire un flusso preciso. Ecco allora che i picchi di auxina nei primordi (e i campi inibitori dovuti alla bassa concentrazione di auxina attorno ad essi), si possono interpretare con la diversa orientazione delle proteine PIN nelle varie cellule.
Come si è visto, anche in biologia, partendo da ipotesi astratte e piuttosto astruse (le “regole del gioco” che regolano la fillotassi), si arriva poi ad mettere in luce i meccanismi sottostanti (i “campi inibitori” ed il ruolo dell’auxina). Ma il mistero della fillotassi non è stato ancora svelato del tutto. Ci sono ancora diverse domande che attendono una risposta. Ad esempio: come fanno le proteine PIN a sapere dove orientarsi? L'auxina è davvero l'unico segnale a regolare la fillotassi? O ce ne sono anche altri? E le forze fisiche possono giocare un ruolo anche nel meristema (così come facevano nell'esperimento di Douady e Couder)? E se sì, quale? La ricerca prosegue …
Riferimenti:
1- Adler, I.; Barabe, D.; Jean, R.V. A history of the study of phyllotaxis. In Annals of Botany, 80:231-244 (1997).
2- Douady, S.; Couder, Y. Phyllotaxis as a dynamical self-organizing process . In Journal of Theoretical Biology, 178:255-274 (1996).
Per approfondire:
Traas J. Phyllotaxis. In Development, 140:249-253 (2013).
* L'approfondimento riproposto (con minime modifiche) in questo blog è già apparso su Scienze-Naturali.it il 2 maggio 2013
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