Twitter

domenica 9 marzo 2014

Le piante prendono decisioni (complesse)?




Non capita spesso che news riguardanti la ricerca di base raggiungano la stampa quotidiana (a meno che non si tratti di “tunnel per neutrini”…), specie se tali news riguardano il mondo vegetale. Bene, questa settimana mi è capitato non solo di leggere sui giornali, ma perfino di ascoltare alla radio, la scoperta che il crespino (Berberis vulgaris) sarebbe in grado di prendere decisioni complesse. Ovviamente, era necessario investigare: sono andato a cercare l’articolo (l’articolo scientifico, non quello sui quotidiani), per dargli un’occhiata. Comincio quindi con una premessa: si tratta di una ricerca _seria_, nel senso che è stata pubblicata su di una rivista peer reviewed (The American Naturalist), e più precisamente si tratta di una ricerca di ecologia. Pertanto, i dati sono probabilmente corretti ma (e?), come si vedrà, proprio l’interpretazione dei dati è il nucleo della questione.

I fatti_ Il crespino presenta frutti con uno oppure due semi. I frutti possono venire attaccati da un parassita, un moscerino della frutta, che vi depone le uova. La larva che si sviluppa (normalmente, una larva per frutto) si nutre dei semi (per potersi sviluppare bene, una larva mangia un seme e tre quarti. Questo non impedisce che le larve si sviluppino anche in frutti con un seme solo). Bene. La pianta però può abortire il seme in cui la larva si sta nutrendo, uccidendola. Se il frutto ha 2 semi, questo significa che l’altro seme è salvo (e la pianta che fa ciò è avvantaggiata, perché avrà più probabilità di avere una discendenza). 

I dati_ In pratica, i ricercatori hanno raccolto i frutti del crespino. Poi hanno determinato se il moscerino aveva “punto” il frutto per deporvi le uova. Quindi hanno contato il numero di semi vivi, mangiati, oppure abortiti. Alla fine, è risultato che nei frutti infestati, se c’erano 2 semi, la pianta abortiva il seme infestato nel 75 % dei casi. Se invece il frutto infestato aveva un solo seme, la pianta abortiva i semi soltanto nel 5 % dei casi.

L’interpretazione_ Sulla base di ciò, l’interpretazione data è che la pianta dispone di un comportamento – definito come la risposta di un organismo a segnali interni ed esterni  - complesso (“decision-making”, capacità di prendere decisioni), in quanto la pianta disporrebbe di:
1-      Una memoria strutturale (il secondo seme intatto);
2-      Un ragionamento semplice (integrazione di dati esterni ed interni);
3-      Un comportamento condizionale (abortire, o meno, il seme);
4-      La capacità di anticipazione (sic!) di un rischio futuro (la predazione dell’altro seme).

Occorre in primo luogo notare che esistono numerose definizioni di “comportamento”, non sempre concordanti tra loro. Si veda questa pagina per farsene un’idea…
Ora, il fatto che la pianta uccida un seme (infettato) per salvare l’altro, è senz'altro una risposta adattativa. Tuttavia, definirlo “decision-making” con capacità di anticipazione di un rischio futuro potrebbe lasciare perplessi…
Credo quindi non sia un caso se gli autori si soffermano ad illustrare (e precisare) tutti e quattro i concetti di cui sopra. Senza tale "apparato interpretativo", non sarebbe probabilmente possibile arrivare ad affermare che il crespino è in grado di “prendere una decisione complessa”. D'altronde, che cosa vuol dire “prendere una decisione”? E “anticipare il futuro”? Servirebbe il parere di un informatico, ma se proviamo ad applicare tali concetti ad una macchina, un computer ad esempio, la risposta non sembra per niente scontata.

Per tornare ai vegetali, e al caso del crespino in particolare, immaginiamo che la selezione naturale abbia selezionato solo le piante che, a seguito di una “puntura” del moscerino sui frutti, riuscivano a portare a termine un, chiamiamolo algoritmo, di questo tipo: 
hai un solo seme? Se sì, allora porta a maturazione il frutto. Altrimenti, uccidi il seme infettato.
In fondo, i frutti che hanno abortito l’altro seme sono diventati frutti con un solo seme, no? 
 In questo caso, servirebbe ancora parlare di “comportamento complesso”? Se proviamo a guardare la risposta della pianta ex-post (cioè, guardando alla specie nel suo insieme dopo l'azione della selezione naturale, invece che alla pianta presa singolarmente), poiché una risposta del genere era vantaggiosa, solo le piante che riuscivano ad attuarla sono state selezionate. A questo punto, servirebbe ancora parlare di “capacità di anticipazione di un rischio futuro”?

Un topo in un labirinto deve effettuare scelte sequenziali differenti ad ogni nuovo incrocio (andare a destra, sinistra, proseguire, tornare indietro…). Il che richiede un sistema complesso d’elaborazione delle informazioni (il cervello). E, presumibilmente, anche una certa capacità di proiettare gli effetti delle proprie scelte nel futuro. Ma, nel caso del crespino, si direbbe che la “scelta” della pianta possa fondamentalmente ridursi a questa semplice operazione: uccidere il seme infettato, solo se ce n’è un altro accanto (e lasciare che il frutto maturi). Se le cose stanno cosi, é necessario introdurre concetti quali "memoria strutturale" oppure "capacità di anticipazione"? Una delle massime alla base della scienza moderna, il rasoio di Occam, afferma: entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem. Occam voleva dire che, nel formulare un'ipotesi o una teoria scientifica, é bene non aggiungere più elementi del necessario.

Uno dei rischi nell'applicare concetti "animali" ai vegetali è quello di scivolare inesorabilmente nell'antropocentrismo. Questo non toglie che vi siano somiglianze, quando non veri e propri meccanismi in comune, tra i due regni. Bisogna senz'altro rimarcare che i vegetali sono in grado di compiere operazioni meravigliosamente complesse. Ma è proprio necessario volerli rapportare a noi “esseri superiori” (nell'ordine, animali e poi esseri umani)? Forse inquadrare meglio le piante nel loro regno potrebbe perfino aiutare a migliorare la coscienza ambientale di noi “esseri pensanti”.

Ad esempio, sappiamo che meccanismi simili a quelli del Berberis vulgaris non sono estranei alle altre specie vegetali. Per dire, è ben nota la risposta ipersensibile (chiamata risposta HR) nelle radici della vite infettata dalla peronospora, così da eliminare il parassita. Oppure, ancora più complesso, il meccanismo per cui alcune specie, se attaccate da un bruco, emettono un richiamo chimico per il parassita del bruco (potremmo immaginarlo come un cartello con su scritto: “Ehi! La tua preda è qui!"), così da potersene disfare. Si tratta di “decision-making”? La pianta ha “deciso” di richiamare il parassita del bruco? Probabilmente, molto (tutto?) si gioca sull'interpretazione dei fatti sperimentali.  

Quello che posso dirvi è che in una parte della comunità scientifica, di quella che un tempo si chiamava fisiologia vegetale, è in corso un acceso dibattito per applicare ai vegetali non solo i medesimi concetti (ad esempio, quello di comportamento), ma perfino alcuni protocolli sperimentali, generalmente usati in ambito animale. Come è possibile immaginare, dall'esterno si ha un po’ l’impressione che “volino dizionari”. Nel senso che, essendo l’interpretazione dei fatti indissolubilmente legata alle parole usate per descriverli, le parole e i termini impiegati diventano di primaria importanza. Ecco allora che è stato perfino coniato il termine neurobiologia vegetale... ma di questo parlerò in un altro post. Di certo, l’articolo sul Berberis vulgaris ha tutta l’aria di volersi inserire nella discussione. L'importante, è che la discussione rimanga nell'ambito del metodo scientifico. La fecondità, o meno, di nuove idee (anche solo per ampliare i confini di una disciplina), é valutabile soltanto a posteriori, purtroppo.

Nessun commento:

Posta un commento

LIBRI, LIBRI, LIBRI....